Il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera invece il debitore di buona fede, ai sensi dell'art. 1189 c.c., ma a condizione che il debitore, che invoca il principio dell'apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel solvens in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell'accipiens.

La S.C. viene ad applicare il principio della c.d. apparenza colposa all'ipotesi del pagamento all'apparente rappresentante del creditore. La condotta colposa del creditore vero deve essere l'agente eziologico dell'insorgenza di quella situazione di apparenza dell'esistenza dei poteri rappresentativi che hanno condotto il debitore ad eseguire il pagamento nelle mani sbagliate. A queste precise condizioni ha luogo l'effetto liberatorio.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista - Presidente -
Dott. UCCELLA Fulvio - Consigliere -
Dott. CARLEO Giovanni - Consigliere -
Dott. GIACALONE Giovanni - Consigliere -
Dott. ARMANO Uliana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9557-2007 proposto da:
MARCHETTI S.R.L. (OMISSIS), in persona del suo Amministratore
Unico sig. M.M., elettivamente domiciliata in ROMA,
VA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio dell'avvocato FAZZALARI
FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
FAZZALARI ELIO, LUCIFERO FABRIZIO giusta procura speciale del Dott.
Notaio RAFFAELE CASERTANO in GUIDONIA MONTECELIO 1/3/2013, rep. N.
71046;
- ricorrente -
contro
B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CASALMONFERRATO 21 INT. 16, presso lo studio
dell'avvocato BEVILACQUA PIERLUIGI, che lo rappresenta e difende
unitamente all'avvocato PIRAS ANTONIO GIOVANNI FRANCESCO giusta
delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 718/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA,
depositata il 09/02/2006, R.G.N. 5889/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/03/2013 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;
udito l'Avvocato FRANCESCO FAZZALARI;
udito l'Avvocato PIERLUIGI BEVILACQUA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto.

 


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.r.l. Marchetti otteneva un decreto ingiuntivo per L. 20.000.000 in danno di B.F., affermando d'aver fornito al B. macchine ed apparecchiature utensili per L.119.000.000 e che il B. aveva corrisposto vari acconti per complessive L.99.000.000 e d'essere perciò creditrice della residua somma di L. 20.000.000 B.F. proponeva opposizione ex art. 645 c.p.c., sostenendo di aver corrisposto la somma ingiunta a mezzo assegno intestato al sig. S., che era stato mediatore dell'affare e che avrebbe dichiarato di riceverne l'importo per conto della società Marchetti. La soc. Marchetti s.r.l. contestava il fondamento dell'opposizione, giacchè non aveva mai ricevuto il saldo del suo credito e che il sig. S., quale semplice mediatore che aveva messo in relazione le due parti, non aveva poteri per riscuotere somme in nome e conto della società venditrice.
Il Tribunale di Roma, sul presupposto di un incolpevole affidamento del Sig. B. che avrebbe pagato a mani del S., perchè ritenuto rappresentante della Marchetti s.r.l., accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo.
Su impugnazione della Marchetti S.r.l. la Corte di appello di Roma con sentenza depositata il 09/02/2006 confermava la decisione di primo grado.
Propone ricorso la Società Marchetti s.r.l. con un articolato motivo illustrato da memoria. Resiste con controricorso B. F..


MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo si denunzia violazione degli artt. 1189, 1388, 1393, 2188 e 2193 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3 e difetto di motivazione ex art. 132 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 5.
Sostiene la ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto liberatorio il pagamento effettuato nelle mani del S., applicando il principio del creditore apparente,quando risultava per tabulas che il B. era a conoscenza che il creditore era la società Marchetti. Inoltre erroneamente la Corte ha applicato i principi dell'apparenza del diritto e dell'incolpevole affidamento, non tenendo conto che il falso rappresentato era una società di capitali soggetta a precise disposizioni in tema di pubblicità in relazione agli organi di rappresentanza. Denunzia la ricorrente la contraddittorietà della motivazione in quanto la Corte ha basato l'accertamento dell'affidamento incolpevole sulla circostanza che il S. fosse stato incaricato dello smontaggio e del montaggio dei macchinari acquistati e che era noto rappresentante della zona.
2. Il Motivo è infondato.
La Corte di merito ha ritenuto che nella fattispecie in oggetto doveva farsi applicazione della disposizione di cui all'art. 1189 c.c., secondo cui il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. La buona fede consiste nell'incolpevole convinzione del debitore che il ricevente sia il vero creditore, o comunque sia il destinatario del pagamento. La Corte ha rilevato che in passato la giurisprudenza si era attenuta alla tesi che limita l'efficacia liberatoria all'ipotesi di pagamento eseguito al creditore apparente, e non anche al rappresentante apparente. L'orientamento più recente ha però abbandonato questa tesi, ritenuta non conforme al dettato normativo che stabilisce in termini generali l'effetto liberatorio al pagamento eseguito a chi appare legittimato a riceverlo, senza distinguere tra creditore e altri destinatari. Così, secondo Cass. 24 settembre 1986 n. 5741.
Con riferimento al pagamento eseguito a mani dell'apparente rappresentante del creditore, l'efficacia liberatoria del pagamento deve essere riconosciuta qualora sussista un rapporto di occasionalità necessaria tra le incombenze dell'accipiens ed il comportamento tenuto dal solvens che abbia fatto ragionevole affidamento sui poteri esercitati dal primo. Così, nel caso di specie il B. non ignorava certamente che il suo effettivo creditore fosse la s.r.l. Marchetti, da cui aveva acquistato il macchinario, ma riteneva che il S. fosse legittimato a ricevere i pagamenti per conto della Marchetti s.r.l., risultando in questo caso l'apparenza giustificata da circostanze univoche e concludenti.
3. La Corte ha fatto corretta applicazione delle norme in oggetto come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità che ha affermato che in tema di adempimento delle obbligazioni, l'art. 1188 cod. civ., indicando in modo preciso i soggetti legittimati a ricevere l'adempimento, e cioè in primo luogo il creditore o un suo rappresentante, ovvero l'"adiectus solutionis causa", vale a dire la persona indicata dallo stesso creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice, comporta che il pagamento fatto a persona non legittimata è inefficace nei confronti del creditore, tranne che quest'ultimo non lo ratifichi o non ne approfitti, con la conseguenza che il debitore rimane obbligato ad eseguire la prestazione anche in via giudiziaria.

Il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera invece il debitore di buona fede, ai sensi dell'art. 1189 cod. civ., ma a condizione che il debitore, che invoca il principio dell'apparenza giuridica, fornisca la prova:
1) non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente,
2) ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel "solvens" in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell'"accipiens".
Cass. Sentenza n. 17742 del 03/09/2005.
Ed ancora che relazione alla norma di cui all'art. 1189 cod. civ., che riconosce effetto liberatorio al pagamento fatto dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo, il principio dell'apparenza del diritto, che mira alla tutela della buona fede dei terzi, trova applicazione quando concorrono le due condizioni costituite dallo stato di fatto non corrispondente alla situazione di diritto e dal convincimento del terzo, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchi la realtà giuridica. Pertanto, per l'applicazione di siffatto principio, occorre procedere all'indagine, da compiersi caso per caso, non solo sulla buona fede del terzo, ma anche sulla ragionevolezza dell'affidamento, il quale, perciò, non può essere invocato da chi versi in una situazione di colpa (riconducibile alla negligenza) per aver trascurato l'obbligo, derivante dalla stessa legge oltre che dall'osservanza delle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile, e per essersi affidato alla mera apparenza. La suddetta indagine coinvolge, perciò, una mera "quaestio facti", le cui conclusioni non sono censurabili nel giudizio di legittimità ove si fondino su argomentazioni logiche e prive di contraddizioni, Cass., Sentenza n. 20906 del 27/10/2005.
4. Inconferente è il riferimento fatto dalla ricorrente ai mezzi di pubblicità per la rappresentanza delle persone giuridiche, in quanto il principio di cui all'art. 1189 c.c. riguarda non solo il rappresentante,ma anche l'"adiectus solutionis causa".
5. In ordine alla censura di vizio di motivazione si osserva che la Corte ha adeguatamente e logicamente motivato la sussistenza dell'affidamento incolpevole, sul rilievo che era fatto non contestato che mancavano accordi specifici sulle modalità del pagamento, che era circostanza plausibile che il S., incaricato dello smontaggio e del montaggio dei macchinari in Sardegna presso il B. fosse incaricato anche di ricevere il primo acconto,che gli fu versato con un assegno comprensivo anche di L. 3.000.000 per il suo compenso; ragionevole affidamento incolpevole confermato dalla circostanza che il creditore pagò con tale modalità di pagamento anche un secondo acconto, andato a buon fine.
6. La Corte ha dato rilievo inoltre all'attività svolta dal S. durante tutto il rapporto fra la Merchetti ed il B. ed alla testimonianza del teste P.A.L. che, dopo aver definito il S. "noto rappresentante della zona" che avrebbe proposto al B. l'affare, ha aggiunto di avere accompagnato il B. a Roma dove il S. era andato a prenderli in aeroporto e che dopo avere visionato i macchinari, il M. li invitò a prendere un aperitivo a casa sua e, alla domanda circa il prezzo dei macchinari, il M. disse "che erano cose che dovevamo vederci col S.".
7. Si ricorda che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
8. Nel caso di specie la Corte di Appello ha operato una valutazione completa delle risultanze probatorie e della linea argomentativa sviluppata la ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, mentre l'impugnazione si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella del giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.


P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per spese ed Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2013

 

 

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